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INCONTRI
ni. Ma le attività di immunizzazione si svolgevano in campi
per persone dislocate all’interno, e abbiamo costruito campi
anche là. Quindi, se ci sono persone che non vogliono uscire
per portare i propri figli a ricevere il vaccino per la polio,
quando vengono a sapere che ci sono dei farmaci anche per
la diarrea e per la tosse portano fuori i figli. Ora gradualmen-
te stanno tornando a casa.
L’anno scorso, ha incontrato una bambina affetta dalla
polio, la quale rappresentò uno degli ultimi casi in
Nigeria. Come dottore deve essere stato straziante.
Quanto questa esperienza ha influenzato il suo lavoro?
Quello fu il mio primo contatto con un bambino appena in-
fettato dal virus. Fu molto intenso. Con molta difficoltà siamo
riusciti finalmente a convincere il capo famiglia a incontrarci.
Molti di quelli che parteciparono all’incontro li guardavano
da un punto di vista tecnico – bisognava che prendessero dei
campioni delle feci, investigare su quanti vaccini orali per la
polio servissero alla piccola paziente, e così via. L’elemento
di compassione tipico del Rotary non era presente. Volevamo
andare là con un occhio rivolto esclusivamente al lato umano,
cercando di capire come mai questo problema aveva colpito
la famiglia.
Sono nato in quella località, quindi parlo la loro lingua e
conosco bene quella cultura. Abbiamo potuto sederci con
loro come fossimo membri della famiglia, discutendo dei pro-
blemi che la malattia della figlia ha portato alla famiglia, alla
madre, ai fratelli, e come sarebbe stato il suo futuro. Quello
fu un momento decisivo per la mia carriera.
Quanto è fiducioso, oggi, pensando alla situazione di
Pakistan e Afghanistan paragonandola a quella della
Nigeria di un anno fa? Pensa che anche loro sono vicini
a essere dove era la Nigeria uno o due anni fa?
Guardando l’andamento delle trasmissioni e la crescente
restrizione geografica del virus, potrei rispondere fiduciosa-
mente di si: l’andamento del Pakistan ricorda quello della
Nigeria. Il numero di casi si è abbassato drasticamente, pas-
sando da più di 300 dell’anno scorso a 29 (stando alle fonti
della stampa). Se riescono a ripetere quello che abbiamo
fatto noi, penso che anche loro potranno arrivare al punto,
l’anno prossimo, di vedere l’ultimo caso di polio.
A livello personale, quanto la campagna odierna sem-
bra diversa rispetto a quella di 5 o 10 anni fa?
Usando un’analogia è come spingere una roccia su una
montagna. Quando ti trovi sotto, sul fondo, nella valle, ti
domandi solamente: “Avrò la forza necessaria per sopportare
tutto questo?”. Eppure continui ad andare avanti e quando
raggiungi la vetta, tiri un respiro di sollievo perché se sai
di avere la forza di salire in cima, avrai anche l’energia per
tornare giù. Questa è la sensazione che abbiamo in questo
momento avendo fatto la maggior parte del lavoro più duro.
Abbiamo commesso degli errori, e abbiamo imparato dai
nostri stessi errori. E andando avanti, le cose diventeranno
sempre più semplici.
Cosa vorrebbe dire ai rotariani a proposito del lavoro
che deve essere ancora fatto? Cosa può fare oggi un
singolo rotariano per aiutare a fermare la polio?
Innanzitutto, dobbiamo congratularci con tutti i rotariani, sia
i nuovi, che i più anziani, perché sono entrati a far parte della
storia. Abbiamo percorso un lungo cammino per arrivare dove
siamo oggi. Il Rotary non inizia mai qualcosa senza portarlo
a termine. Vogliamo quindi incoraggiare i rotariani a non
perdere di vista il loro obiettivo e continuare a inviare i fondi
per eliminare la polio prendendosi del tempo per supportare
gli sforzi nei propri territori. Se ci si trova in un Paese polio
endemico, bisogna supportare i centri di assistenza sanitaria
primaria per assicurarsi che i bambini continuino a ricevere
le immunizzazioni. Se si è in un Paese non endemico, biso-
gna invece supportare i programmi di quei Paesi che sono
ancora endemici, in particolare attraverso gli investimenti,
risvegliando le coscienze ed esortando il governo e i settori
privati a continuare a sostenere il programma fino al raggiun-
gimento finale dell’obiettivo.
Raggiungendo questa pietra miliare ci siamo convinti di poter
contrastare qualsiasi problema sanitario, in quanto non esiste
nessuna questione sanitaria che non possa trovare una solu-
zione. Questa è una grande eredità!
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