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ROTARY
settembre 2016
TESTIMONIANZE
Ci stiamo dunque addentrando in una realtà sconosciuta?
Senza alcun dubbio viviamo in quella sorta di caos che ca-
ratterizza le fasi di transizione da un periodo a un altro della
storia dell’umanità. Siamo un grande “cantiere”: da una parte,
studiosi e persino uomini di fede, come il Santo Padre, s’inter-
rogano su
how to fix capitalism
, vale a dire su come sviluppare
nuovi modelli economici e sociali dopo la crisi causata dalla
finanza speculativa, priva di regole e di confini; dall’altra, gli
start upper
californiani che, sviluppando innovazioni sempre
più radicali, hanno creato le premesse per la quarta rivoluzione
industriale. Infine, ci siamo noi, gli imprenditori, con i nostri
collaboratori e con le nostre imprese che, come insegna la
biologia, lottiamo per la sopravvivenza, cercando di adattarci a
un mercato globale in continua trasformazione.
Affrontare la transizione da un’epoca a un’altra richiede nuovi
modi di guardare alle cose del mondo, dell’economia e della
società.
Sono d’accordo. Il fatto che questa “Grande Trasformazione”
abbia interessato il Santo Padre e i più autorevoli studiosi del
mondo indica quanto sia attuale e urgente la ricomposizione
tra le esigenze delle imprese, quelle dell’ambiente, della so-
cietà e, naturalmente, della persona.
Il “capitalismo” italiano dei distretti e l’imprenditoria che lo
esprime possono affrontare questa sfida?
Il nostro è un capitalismo “personale”, fondato su una cultura
diffusa del rischio, sulla dimensione familiare, sulla respon-
sabilità individuale e, dunque, sulla persona. In altre parole,
abbiamo molte cose in comune con i modelli indicati nelle
encicliche
Caritas in Veritate
e
Laudato Sì
. Entrambe indicano
una visione che condivido: «Lo sviluppo tecnologico ed econo-
mico che non lascia un mondo migliore e una migliore qualità
della vita non può considerarsi in alcun modo progresso».
Le sue esperienze imprenditoriali e associative permettono di
cogliere segnali di novità in tal senso?
Certamente, seppur in maniera invisibile, un processo di rin-
novamento interessa da tempo lo “sciame” di piccole e medie
imprese del nostro sistema produttivo. La fabbrica, quella for-
dista, quella dell’operaio-massa e della catena di montaggio,
che ha conosciuto la lotta di classe, ha già subito e continua
a subire una radicale trasformazione. La nuova fabbrica è
un’organizzazione a rete che assomiglia sorprendentemente al
modello emiliano dell’impresa diffusa. Soprattutto, è sempre
più “intelligenza diffusa”, ha la persona al centro e si misura
consapevolmente con la sfida della sostenibilità. Questa im-
presa, ben presente in larga parte del Paese, sta già entrando
nella quarta rivoluzione industriale e lo sta facendo salvaguar-
dando la propria originalità “sociale”.
Che cosa si deve fare per sostenere questo percorso evolutivo?
Ogni imprenditore e ogni persona che opera nell’impresa deve
impegnarsi a trasformare il lavoro esecutivo della fabbrica e
dell’ufficio – che sta perdendo importanza – in lavoro intelli-
gente, capace di generare innovazione e valore. Un obiettivo
che impone di ripensare l’organizzazione dell’impresa e del
lavoro e, dunque, anche il rapporto tra capitale e lavoro.
Che cosa intende in particolare?
Dobbiamo sviluppare nuove relazioni industriali che mettano
al centro la persona. Sono convinto che l’innovazione e le
nuove tecnologie necessitino di veri e propri collaboratori, non
Fabio Storchi è Presidente di Federmeccanica dal 2013