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solo di dipendenti. Mi riferisco a uomini e donne capaci di

progettare, reinventare e costruire insieme un obiettivo comu-

ne in grado, prima di tutto, di dare senso e valore al lavoro. In

tale prospettiva, la soluzione che può conciliare la solidarietà

tipica del nostro modello sociale con l’efficienza richiesta dal

mercato globale è l’economia della partecipazione, vale a dire

l’impresa costruita intorno all’uomo.

L’impresa, il capitalismo italiano, quello delle multinazionali

tascabili e delle piccole e medie imprese, si trovano dunque

davanti a delle scelte.

Sicuramente e credo che nel guardare al futuro dobbiamo

ricordarci del “miracolo” economico e civile di cui la genera-

zione prima di noi e noi stessi siamo stati capaci. Se abbiamo

avuto successo è perché abbiamo saputo far fruttare i capitali

sociali, morali e spirituali espressi dalle nostre comunità.

Lo affermo non solo come testimone, ma anche come attore

co-protagonista: negli anni Settanta, non avremmo potuto

portare il numero delle imprese da 300.000 a un milione,

senza l’etica contadina e artigianale del lavoro ben fatto che

abbiamo appreso dai nostri padri. Da questa crisi, dunque, si

esce aderendo a una nuova dimensione non solo tecnologica,

ma anche etica e morale.

Si fonda su questa visione anche il suo impegno come presi-

dente di Federmeccanica?

Non c’è dubbio. L’elemento di radicale novità per Federmec-

canica è che la creazione del valore deve avvenire in maniera

condivisa. Deve avvenire, cioè, con modalità tali da creare

valore per l’impresa, per i lavoratori e per la società in cui

operano. In altri termini, la competitività di un’impresa, il

benessere dei lavoratori e della comunità circostante devono

essere strettamente correlati tra loro.

Ciò significa investire sulla prassi e sul valore della collabo-

razione?

Questa è la via. Le imprese e il lavoro devono collaborare per

creare valore condiviso. A questo proposito, sono convinto che

la via italiana alla partecipazione non deve imitare modelli

elaborati in altri Paesi e per noi improponibili. Al contrario,

deve nascere all’interno del nostro capitalismo, molecolare,

familiare e di territorio, che rappresenta il cuore della manifat-

tura emiliana e italiana.

Su cosa è indispensabile impegnarsi per raggiungere questi

risultati?

Per prima cosa, dobbiamo guardarci dall’illusione di poter

modificare modi di pensare e d’agire solo attraverso nuove

norme e regole. Queste sono certamente indispensabili, ma

senza un progetto condiviso, senza un impegno corale e senza

un profondo rinnovamento culturale, nessuna riforma potrà

mai trasformare l’Italia. Per queste ragioni, è di fondamentale

importanza che gli attori politici, economici e sociali inizino a

considerarsi l’un l’altro come parte di una stessa comunità e

artefici di uno stesso destino. Solo superando i conflitti e le

divisioni del passato, solo attraverso la collaborazione, potre-

mo dare a noi stessi e ai nostri figli una nuova fiducia verso

il futuro.

In una prospettiva come quella che ha delineato quale è il

ruolo del movimento rotariano e come la nostra associazione

deve cambiare?

In una prospettiva come quella che abbiamo delineato le

istanze della società civile hanno un ruolo fondamentale nel

comprendere e assecondare la “Grande Trasformazione” in

atto. In tal senso il Rotary ha una funzione particolarmente

significativa in quanto rappresenta una rete di club che, nel

loro insieme, configurano una vera e propria “infrastruttura”

culturale al servizio del Paese. Un’organizzazione, si badi be-

ne, che per definizione non è “corporativa” in quanto si fonda

sulla “diversità” dei propri soci. Mi riferisco, in particolare, al

fatto che ogni club esprime al proprio interno rappresentati

di ogni categorie economica, professionale e amministrativa.

Dunque, è indispensabile che i temi del cambiamento, della

quarta rivoluzione industriale, dell’innovazione diventino uno

dei terreni privilegiati di lavoro dei club. Si configurerà, in tal

modo, un service capace di contaminare attori sociali diversi,

ciascuno dei quali, a propria volta, sarà attore di cambiamento

nel proprio specifico ambito. Abbiamo, tutti insieme, un gran-

de lavoro da fare e non c’è un minuto da perdere.

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